Se hai un racconto di montagna che vuoi condividere mandalo a: bergamaccio@gmail.com Nota Bene: La pubblicazione dei racconti inviati è a totale discrezione del webmaster PROFUMO DI FUNGHI Guida semiseria del perfetto fungaiolo di Monica Blondi  Se a qualcuno venisse in mente di chiedermi qual è il profumo che mi fa  pensare all'infanzia, non avrei alcun dubbio: quello dei funghi stesi ad  asciugare al sole. Nelle annate fortunate, quando i porcini erano così  abbondanti che al mattino te li ritrovavi davanti all'uscio che chiedevano solo di essere affettati, esauriti tutti i taglieri e le assi di legno, mia madre tirava  giù dal fienile le vecchie reti da letto. Alla sera venivano meticolosamente  riportati dentro affinché non prendessero la guazza, che li avrebbe resi  umidi e mollicci, e il loro profumo penetrante si mescolava a quello più  delicato delle mele e delle noci stipate in alte casse di legno. Ad uno di  questi giorni è legato il mio ricordo più bello. Io e mio padre eravamo partiti a metà di una tiepida mattina autunnale in  direzione del bosco di faggi vicino a casa, che confinava con la nostra  amata pineta, orgoglio di tutto il paese, vuoi per gli effluvi di resina che  impregnavano l'aria delle nostre passeggiate serali, vuoi perché ogni singolo pino era stato piantato parecchi anni prima da ciascun abitante. Si era unita  a noi anche la signora Bisley, la nostra gatta, il cui naso rosa e umido veniva continuamente sfiorato dalla roncola che mio padre usava per farsi largo tra  le felci, alte quanto me, e i rovi carichi di more. Dopo una salita da ginocchia  in bocca che mi aveva lasciato esausta, ecco la mirabile visione: in una  piccola radura, ancora scintillanti di rugiada, vari esemplari di boletus edulis, di diverse fogge e dimensioni, se ne stavano lì impalati quasi ad aspettarci.  Le poche borse che avevamo preso con noi, più che altro per scaramanzia,  non erano sufficienti a mettere al sicuro il prezioso carico e così mio padre,  che soffriva sempre il freddo e non indossava mai meno di tre maglioni, si  era sfilato il dolcevita bordò e ne aveva ricavato un morbido sacco. Di fronte  a mia madre, spuntata fuori ad accoglierci, avevamo ostentato un'aria  delusa per farle credere di non averne trovato neppure uno, salvo poi  estrarli da dietro le nostre schiene e metterci a raccontarle all'infinito ogni  singolo fotogramma della nostra fruttuosa avventura. La prima regola del  perfetto fungaiolo è quella di saper bluffare come il più incallito dei giocatori  di poker.   Oltre che fungaiolo, mio padre era un cacciatore, ma della domenica, nel  senso più positivo dell'espressione. L'aneddotica familiare narra infatti che,  mentre gli altri uomini del paese partivano alle cinque del mattino in tenuta  anti-selvaggina su jeep coperte di fango insieme a cani nervosi e assetati di  sangue, lui usciva di casa verso le undici, ordinava a mia madre di mettere  su l'acqua per la polenta e si incamminava nel solito bosco con la carabina  in spalla. Verso mezzogiorno era di ritorno con una lepre tenuta per le  orecchie o un fagiano a testa in giù. Con tutta probabilità i poveretti,  spaventati dalle raffiche e dai latrati, alla vista di mio padre e della sua aria  mite venivano ad arrendersi spontaneamente tra le sue braccia. Mi si  perdoni la piccola digressione, affatto casuale; fungaioli e cacciatori hanno  almeno una cosa in comune: la tendenza ad esagerare nei racconti la  dimensione delle loro prede. Il vero fungaiolo sente l'odore del fungo ancora prima di vederlo. La punta  del suo bastone scosta delicatamente le foglie secche e, a colpo sicuro,  libera l'oggetto del desiderio. Staccare un fungo dalla sua sede è un  momento sacro, un'emozione unica. Andrebbe inserito tra le cento cose per  cui vale la pena vivere. Quando si ha la fortuna di imbattersi in una di  queste mirabili creature del bosco è bene non lasciarsi andare a fragorose  manifestazioni di gioia ma limitarsi ad esultare dentro di sé. Quando mi  capitava di farlo, i miei mi zittivano con aria grave. Dal paese vicino  qualcuno avrebbe potuto sentirmi e capitare su in un battito di ciglia a  sfilarmi da sotto il naso l'ambita muffa.   La fungaiola più agguerrita che io abbia mai conosciuto è mia zia Rina,  l'unica in grado di tornare a casa con il bottino perfino nelle annate di magra assoluta, quando anche il naso più esperto non rilevava la benché minima  spora. Mi sembra ancora di vederla durante una spedizione al monte  Navert, fendere grovigli di felci e ginepri intirizziti con falcate da gendarme.  Io e mio cugino, poco più che adolescenti, le trotterellavamo dietro come  giovani caprioli, i piedi infilati negli stivali di gomma e in mano il bastone  d'ordinanza. Ogni tanto sferravamo un calcio o una bastonata a qualche  fungo matto trovato sul nostro cammino. Dopo un'ora, con il sole già alto,  arrancavamo con le ginocchia tremanti, le vesciche ai piedi e la lingua a  penzoloni. Sono stata assalita dallo sconforto quando ho visto mio cugino  gettare via una micca di pane fatto in casa da un chilo, un chilo e due, solo  per alleggerirsi un po'. Un'altra regola imprescindibile per essere dei perfetti cercatori di funghi, è  quella di non rivelare mai le proprie fungaie, neppure se a torturarvi fosse  Torquemada in persona, giunto dall'aldilà per l'occasione. D'altronde  dovrebbe essere vietato per legge porre certe domande. Se qualcuno però  dovesse arrivare a tanto, sono solo tre le cose da fare. La prima è quella di  cambiare discorso spostandolo sul primo argomento che vi balena alla  mente. Se il vostro interlocutore dovesse insistere è consigliabile chiudersi  in un silenzio ostinato corredato da un sorriso più enigmatico di quello  esposto al Louvre. Di fronte ai più tenaci, se non si hanno scrupoli di sorta,  si possono fornire false coordinate che porteranno il malcapitato fuori rotta  di almeno cinquanta chilometri, spingendolo verso una porzione di macchia  impenetrabile agli esseri umani, infestata da lupi, orsi e, pare, da qualche  fantasma. Se c'è una cosa che distingue noi fungaioli di montagna da tutti gli altri è un  certo fondamentalismo. Se dobbiamo alzarci all'alba, avanzare tentoni  dentro roveti pronti a lacerarci le vesti e le carni, siamo disposti a farlo solo  per lui, il re dei funghi, il porcino. È con una certa aria di superiorità mista a  derisione che guardavamo i genovesi fare incetta di colombine dalle  sfumature poco rassicuranti o i parmigiani riempire i bauli di mazze da  tamburo. Nelle annate sfortunate potevamo scendere a compromessi e  accontentarci dei pineroli, parenti poveri dei venerati porcini, che trovavamo  senza troppa fatica nella pineta sotto casa ma che ti facevano sentire come  chi, in una gara, vince il premio di consolazione. Infine, il fungaiolo modello deve possedere una serie di qualità fondamentali  quali lo sprezzo della fatica, la caparbietà, self-control e attenzione per il  dettaglio. Doti umane indispensabili anche nella vita di tutti i giorni.  E  mentre cerco un modo per terminare questa guida semi-seria per perfetti  fungaioli, penso a me e al fatto che sono passati secoli dall'ultima volta che  sono partita a cercar funghi.  Giunta a metà del cammino della mia vita, anzi  avendola superata da un po', ormai le vesciche ai piedi mi vengono più per  un paio di sandali nuovi che per una scarpinata in montagna. Ma chi è stato  fungaiolo, lo è per sempre. E allora mi viene da pensare che forse non  esistono manuali, regole o vademecum per diventare perfetti fungaioli. A  guidarci è solo un profumo. Quello della nostra infanzia. Racconti Monica Blondi Laureata in Lingue, Monica è  originaria di Ceda, un piccolo  paesino situato ai confini  dell’Appennino parmense.  Esperta e grande appassionata  di letteratura caraibica ha  pubblicato diversi saggi e  racconti. Oggi collabora con  alcuni blog che mescolano  cucina e letteratura. E’ mamma  e del piccolo Luca e  tenacemente attaccata alle  tradizioni della sua montagna.    Commenti Un porcino che spunta orgoglioso tra le foglie di faggio  Uno dei “matti” più affascinanti del bosco, l’amanita muscaria Esplosione di porcini dal terreno Il tipico cappello di una mazza da tamburo