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IL RE DEL BOSCO
di Matteo Bergamo
A chi non è mai capitato d'essere sorpreso a parlare con se stesso a voce
alta? E quando si viene scoperti ci si vergogna come ladri, ammesso che di
questi tempi i ladri si vergognino ancora, come se uno nascondesse dietro
quel costume chissà quale pazzia o riprovevole anormalità. Molti poi si
celano dietro scuse del tipo: "Stavo telefonando con un bluetooth integrato
nell'orecchio" e invece lo sappiamo benissimo che sono balle grosse così,
sarebbe più semplice e onesto dire che siamo nel mezzo di un dialogo con il
nostro "io metafisico".
A me capita di parlare con il mio io soprattutto quando vado a funghi. Sono
fermamente convinto che, come me, lo facciano tutti i fungaioli che
affrontano da soli tante ore di cammino. Pensieri che diventano periodi
grammaticali, lunghi discorsi con se stessi, sottovoce o con un tono urbano.
Se uno trova un porcino da mezzo chilo o una fungaia popolosa è
impossibile che se ne resti silenzioso davanti alla grazia svelata. E' più
naturale che se ne esca un paio di espressioni colorite tipo: "Che botta di
culo!" e segua poi una disanima dettagliata del porcino, se piccolo o grande,
se sano o mangiato dai lumaconi e il tutto esce dalla bocca senza che uno
neanche se ne accorga. Questa cosa è spiegabile dal fatto che a forza di
stare da soli si finisce col crearsi una sorta di alterego che ascolta con
grande interesse le proprie osservazioni e con il vantaggio che in questo
modo le proprie fungaie non vengono divulgate ad altri. Quando chiedo
come è andata al mio amico Bruno che spesso va a funghi con il suo cane
Pedro, lui mi risponde: "Bene, io e Pedro ce la siamo raccontata e piano
piano abbiamo trovato un paio di chili". Ce la siamo raccontata? Allora è
proprio vero. Anche l'homo fungaiolus è fatto per condividere la propria vita
con gli altri a tal punto da desiderare di voler scambiare due chiacchiere con
chiunque, non importa se cani, faggi, porcini, la voce registrata del casello
autostradale o se stessi.
Quando si entra da soli in un bosco inizia un dialogo, si prende un'intera
foresta e la si accoglie dentro l'anima, e con lei l'acqua fredda dei fiumi che
gela i denti, le carbonaie deserte dai muri diroccati, gli scoiattoli e i ghiri che
precipitano dai rami, le rupi scoscese, l'urlo notturno della civetta, la fuga
improvvisa dei caprioli, la terra spaccata dai cinghiali, l'erba verde e
selvaggia scossa dal vento, la notte nera sotto i faggi altissimi. E se non si
trovano funghi ci si lamenta, perchè il bosco è troppo secco o troppo
bagnato, perché ha fatto vento o il terreno troppo ripido o sono già passati in
cento in quel punto. Ma ecco che fatto qualche metro più in là si viene
subito smentiti da un bel porcino che cresce fuori da ogni apparente logica.
Ciò spiazza il nostro ragionamento. Il porcino nasce dove non te lo aspetti,
certo è più frequente nelle fungaie, ma cresce anche nei luoghi più impervi e
ogni volta che lo troviamo siamo colti da stupore come fosse il primo fungo
della nostra vita. Questo perché il porcino non è un fungo qualsiasi, ma il re
del bosco, sovrano di un reame stupefacente, effetto di una magia che non
ci stanca mai perché priva di trucco. Eppure è frequente incontrare nel
bosco funghi maciullati e rifiuti d'ogni genere: succhi di frutta, borse di
plastica, carte di merendine, filtri di sigarette, lattine, bottiglioni di vino,
gomme di trattore. Spesso è così forte il fastidio che provo a quella vista che
infilo un po' di spazzatura nello zaino, pensando che se sono generoso con
il bosco prima o poi il bosco lo sarà con me. Io dico che non si va a trovare
un re e gli si lasciano in casa certe schifezze. Basterebbe solo parlare un
po' di più con se stessi a voce alta e stupirsi, ogni tanto… delle cose
semplici, che poi semplici non sono.
Racconti
Il re del bosco nei boschi di Valditacca
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