Se hai un racconto di montagna che vuoi condividere mandalo a: bergamaccio@gmail.com Nota Bene: La pubblicazione dei racconti inviati è a totale discrezione del webmaster A CARLO di Francesca Contini Carlo Contini (1932-1953) fu il primo alpinista a scalare in solitaria,  d'inverno, il versante sud-ovest (Ferrata Tissi VI) del Monte Civetta (3220  mt). Arrivò in vetta e, colto dalla bufera, provò a cercare riparo nel vicino  rifugio Torrani. All'epoca la porta del rifugio (che d'inverno era chiuso) si  apriva tirandola verso l'esterno. Carlo spese tutte le sue energie per scavare oltre 1 mt di neve che ne  bloccava l'apertura. All'interno non trovò nulla per scaldarsi. Si cosparse  allora di pomata antigelo e lasciò un biglietto in un cassetto dicendo che  sarebbe sceso per la via normale. Sulla via del ritorno, all'altezza del  ghiaione, scivolò e cadde travolto dalle nevi. A nulla valsero le ricerche operate dagli Scoiattoli delle montagne, essi  trovarono solo il suo zaino con il taccuino in cui egli aveva scritto i suoi ultimi  pensieri, la sua macchina fotografica con l'ultimo autoscatto che lo ritraeva  davanti al rifugio e i suoi sci. Il suo giovane corpo venne ritrovato da un  pastore alcuni mesi dopo, quando le nevi si sciolsero. Da allora Carlo  (pronipote dell'alpinista Cesare Tomè) riposa davanti alle sue montagne,  nella Cappella di famiglia ad Agordo (BL). Ho voluto condividere questa lettera con voi perché la trovo bellissima e alle  mie orecchie suona come una poesia. Sono parole antiche, ma così  avvincenti da sembrare attuali. Quello che allora era considerato un uomo,  oggi per noi sarebbe un giovane ragazzo che, nonostante la sua giovane  età, aveva capito come trovare la sua pace interiore. Una mente eccelsa che non si seppe accontentare di una vita ordinaria, un  cuore grande e desideroso di essere ricordato nella storia. L'inquietudine di  Carlo e il suo desiderio di distinguersi sono gli stessi che hanno sempre  albergato in me, forse per questo motivo tali parole sono per me una fitta al  cuore: perché il coraggio che ha avuto lui, a me è mancato. Il dolore che provocò nei familiari fece sì che nessuno si adoperò perché gli  fosse dato un riconoscimento. Per me questo rappresenta un modo di  ricordarlo e di far conoscere la grande impresa che portò a compimento e  che mai riuscì a raccontare. Grazie,  Francesca Contini A CARLO  Io ti ricordo, giacché fui la tua Maestra, quando durante lo svolgimento dei  tuoi temi ti staccavi dai compagni e preferivi andartene nell'ultimo banco,  solo con te stesso e con quel tuo mondo che la fantasia ti rendeva così  fervido e ricco. E mi portavi poi quelle pagine fitte di pensieri freschi, originalissimi, che io  leggevo con ansia perché vi traspariva una sensibilità più profonda di  quanto comportasse la tua fanciullezza.  Ti ricordo diciassettenne e studente liceale, inquieto come tutti i giovani,  insofferente di ciò che sembrava un ostacolo al tuo bisogno di libertà e di  spazio, ma così buono ancora, che io pensai tu non potessi neppure  concepire il male, che non vi credessi neppure. Ricordo che i difetti dei compagni, le loro debolezze, ti facevano sorridere di  un fine sorriso, pieno di comprensione e di indulgenza, come fossero  monellerie e nulla più. Ricordo il tuo amore per tutte le creature deboli e indifese, che ti portava ad  accese e vivaci discussioni con chi non ti capiva. E ricordo la nobiltà del tuo animo che ti distingueva inconfondibilmente, e la  signorilità che si manifestava nei gesti contenuti, nel parlare forbito, nella  predilezione per tutte le espressioni dell'arte. Ora eri un uomo. Avevi raggiunto quella pienezza di vita che pulsa gagliarda  nelle vene, che urge, di dentro, con le sue aspirazioni, le sue lotte, i suoi  diritti; e la tua volontà era pronta ad ogni ardimento come il tuo corpo ad  ogni fatica. Ma non sapevi, ahimè, che la morte predilige i forti e li attende al varco per  farne sua preda! Non la vedesti quel giorno, quando ti venne alle spalle,  furtiva, per accompagnarti nell'arduo cammino! Forse ridevi, pensando alla meraviglia degli amici, all'orgoglio del babbo e  dei fratelli (la mamma, oh no, avrebbe soltanto tremato) allorché avresti  raccontato loro l'audace impresa! Ridevi, pensando come sarebbe stato bello di lassù, contemplare l'immensa  distesa delle nevi che il sole accendeva di rosei splendori! Il sole non ti attendeva lassù. Ti colse la bufera e non potesti più ritornare. E allora lottasti con accanimento, con furore, poiché l'unica via di salvezza  era quella che conduceva al rifugio, sulla vetta; arrampicandoti,  aggrappandoti con le mani e coi piedi alla roccia che il ghiaccio e la neve  rendevano sdrucciolevole ed infida. E Iddio solo sa quali pensieri ti furono compagni in quell'ore tremende,  quando te la vedesti accanto la morte, solo tu e lei: quando ti sbarrò il passo davanti al raggiunto rifugio e quando ti abbandonasti, vinto ormai, tu che  avevi lottato, sofferto, vissuto in un così breve spazio di tempo, quanto si  può lottare, soffrire e vivere tutta una vita! Dio, sì, Dio che tu avevi cercato incessantemente in te stesso e nella  solitudine eccelsa della montagna; Dio che ti accolse in quel regno degli  spiriti ove il dolore e la morte non esistono più, ove risplende eterna la luce  del suo grande Amore! Sulle tracce ancora fresche del tuo passaggio vennero gli scoiattoli delle  montagne, le guide esperte, cercando la tua giovane salma, ma invano. Ed io non so se augurarti una tomba nel Camposanto di Agordo, sulla quale  l'affetto dei tuoi cari possa recare ghirlande di fiori e inconsolabili lacrime o  se sia più bella la tomba ove già riposi, ammantata di neve e vigilata da quel  silenzio che tanto amavi.  Gli arditi che saliranno sul Civetta desiderosi come te di silenzio e d'infinito,  affacciati all'orrido burrone, crederanno di scorgerti supino con gli occhi  aperti a guardare il cielo. Anche una fanciulla innamorata verrà a piangere. Ed a lei apparirai  all'improvviso, ad una svolta dell'arduo sentiero, o sulla cima vittoriosa o fra  le nuvole quando il sole le bacia al tramonto. E le dirai: non piangere più. Il sogno che ci arrise un giorno e nel quale  avevi riposto la tua fede è qui, nel mio cuore intatto. La neve lo custodisce, fiore di pura bellezza che il tempo e il destino delle  umane cose, mai potranno sfiorare né offendere.   Vittorina Cerioli Cecconi. Castelleone, Marzo 1953.   Racconti Francesca Contini Sono nata a Milano l'8 ottobre  1971 e vivo a Milano. La  famiglia di mio padre è di  Agordo (BL) e per questo, da  sempre, trascorro lì parte delle  mie vacanze. Tra i miei antenati  spicca il nome di Cesare Tomè,  alpinista cui è dedicata una  targa nella Piazza di Agordo  (vedi foto). Svolgo la  professione di Assistente  Sociale in un Servizio Sociale  del Comune di Milano.  Commenti Il tuo cuore ha la sua stessa  grandezza!   Alessia Quaranta Che zio meraviglioso!!  Guardalo, è di fianco a te e ti  scorre nel sangue, Niente  fitte al cuore Fra, solo  meraviglia. Niente è perduto,  il coraggio è a un passo... Daniela Piazzolla  Davvero bella, Francesca.  Una memoria d'altri tempi. Il  ricordo struggente di un  ragazzo fuori dal comune.  Grazie per averla condivisa  con Orizzonti.  Orizonti Randagi