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Una notte, tra i boschi dell’Appennino
di Giacomo Guidetti
Fermiamo l'auto nel parcheggio circondato dal bosco. Scendiamo e siamo
accolti da un silenzio innaturale, anzi no, naturalissimo. Di tanto in tanto
viene interrotto dal tonfo di una pigna che si schianta al suolo, dal verso di
un'animale in lontananza, dal frusciare delle foglie quando passa il vento.
Non sappiamo perché, ma ci sentiamo a disagio estranei, osservati.
Facendoci coraggio l'un l'altro ci buttiamo lo zaino in spalla e iniziamo, come
da programma, la nostra camminata notturna nei boschi dell'Appennino.
Camminando di notte i sensi si acuiscono, i muscoli sono tesi, la mente in
allarme. Non c'è nessun motivo di preoccuparsi, ti ripeti, ma l'orecchio resta
vigile a percepire ogni minimo rumore. Di notte il bosco sembra sveglio,
dorme di giorno, riscaldato dal sole.
Il timore del buio scioglie le nostre lingue e le nostre gambe, così
procediamo svelti e il nostro scherzare e vociare rimbomba tra gli alberi,
allontanando la volpe e la faina. Dopo circa un'ora di cammino, usciamo dal
bosco, in un ampio prato semicircolare, dove veniamo subito inondati
dall'argentea luce lunare che trasforma ogni cosa in seta, come nelle fiabe
alpine. Dopo un poco, mi abituo alla notte, il senso di disagio svanisce,
inizia a darmi noia il parlare, vorrei essere solo in mezzo alla notte.
Risaliamo verso il crinale, puntando ad un'ampia forcella, il cielo è sereno e
la luna piena diffonde ovunque la sua luce permettendoci di progredire
agevolmente senza l'uso delle torce elettriche. D'un tratto percepiamo un
balenio ai confini del nostro campo visivo, seguito da un suono simile a un
lungo fischio sommesso che ci ammutolisce d'un colpo. Nel silenzio che
segue si insinua la paura: che cosa abbiamo visto? Nessuno parla. Alla fine,
passato lo spavento, decidiamo che è stata tutta suggestione, sarà stato
qualche strano fenomeno atmosferico …Optiamo per continuare.
Arriviamo alla sella, e voltiamo il naso all'insù: il cielo stellato è fantastico!
Veniamo rapiti dalla magia del momento, finalmente non siamo più corpi
estranei, ma parte del tutto. Come ben sa chi và in montagna, in queste
occasioni non servono tante parole, ci si guarda negli occhi e si capisce
ogni cosa. Perciò, con pochi cenni d'intesa, ci avviamo verso una larga linea
di cresta che sale sino alla cima del monte, un ultimo sforzo e in venti minuti
siamo in cima! La vetta è ampia e tondeggiante, la luce lunare crea dei
suggestivi giochi di ombre, lasciandoci intravvedere nella penombra la
sagoma della croce di vetta e, più in là il profilo di alcuni massi sparsi
all'intorno dell'area sommitale, a guisa di corona.
D'un tratto ecco di nuovo quel fischio, seguito da un movimento fulmineo,
appena percepito alle nostre spalle. Alex giura di aver distinto una risata in
quello strano suono. Contemporaneamente inizia a tirare un forte vento
gelido, proveniente dal mare, che ci costringe a cercare rifugio dietro alcuni
massi. Aspettando che il vento si plachi un pochino, beviamo del the caldo e
smangiucchiamo qualche biscotto, interrogandoci sul significato di quello
strano fischio che per ben due volte abbiamo sentito questa notte. "Ve lo
giuro, " dice Alex "era una voce, non un verso di animale, c'era una risata
quasi umana in quel suono." "Ma va là" gli risponde Gio "sarà stato il verso
di qualche uccello notturno, una civetta, o che so io…". Continuano a
discutere di queste cose, ma io, dopo un poco, mi stanco di seguire il
discorso, e inizio a volgere lo sguardo attorno, immaginando di essere da
solo, sulla montagna di notte.
Fu in questo momento che lo vidi. Dapprima lo sguardo si era posato su di
lui senza nemmeno vederlo, la sua sagoma si confondeva con quelle dei
massi sparsi attorno, ma poi, attratto da non so quale particolare, aguzzai la
vista, finché non ebbi più dubbi: seduto su di un masso, a circa cinque metri
di distanza, un piccolo omino ci stava guardando, con un sogghigno in
faccia, illuminato di sbieco dai raggi lunari. Mi irrigidii completamente, i miei
amici, accorgendosene, volsero lo sguardo nella stessa direzione del mio, e
mi fu di sollievo constatare che anche loro lo vedevano. Ci guardammo un
attimo negli occhi, e in quel secondo l'esserino scomparve.
"Quel coso non era un'animale" dice subito Alex, "Già, ma allora che cos'è?"
gli chiedo. Nessuno sa rispondere. Mentre stiamo lì a interrogarci stupiti
ecco di nuovo quella maledetta risata. Ci agitiamo, ma ci rendiamo conto
che cercare di capire da che parte guardare è del tutto inutile: non c'è
traccia di lui da nessuna parte, e la risata rimbomba negli orecchi rendendo
impossibile stabilire da che direzione arriva. Spaventati, scendiamo, giù fino
alla sella, e poi dritti, il più velocemente possibile, verso il limitare dei faggi,
nelle orecchie gli echi di una risata beffarda, e nella mente il dubbio: ma
davvero abbiamo visto quella specie di folletto? O il vento, la luna e il buio ci
hanno ingannati?
Giunti al limitare del bosco, non riusciamo a trovare il sentiero, i segni rossi
e bianchi del CAI sono spariti dagli alberi, la traccia del sentiero
completamente coperta da un manto di foglie, e inoltre, ogni volta che
giriamo lo sguardo, nella zona più periferica del nostro campo visivo,
compare la sfuggevole visione di un esserino, mezzo uomo mezzo animale
che sgattaiola via. Queste continue visioni ci disorientano completamente, e
in breve ci perdiamo. Iniziamo a vagare per i boschi senza più la cognizione
dello spazio e del tempo, senza punti di riferimento.
Finalmente, Giovanni scorge una vecchia costruzione, un tempo ricovero
per pastori, oggi riconvertito a bivacco di fortuna. Adesso sappiamo dove
siamo, il posto, sebbene fuori dalla principale rete di sentieri, è abbastanza
conosciuto e nel corso di altre escursioni ci era già capitato di passare di
qua. Sollevati entriamo nel bivacco per rifiatare. Illuminata dalle prime luci
dell'alba, vediamo un graffito sul muro meridionale del bivacco. Una rozza
incisione rappresentante un'esserino mezzo uomo e mezzo animale, dal
sorriso beffardo, con una scritta, a mo' di firma che ci disse chi era lo strano
essere.
Non parlammo mai più di quella notte. Tornammo altre volte su quella
stessa montagna, ma sempre di giorno. Non vedemmo mai più quello strano
esserino. Io personalmente non sono più sicuro di aver vissuto tutto questo,
a volte penso che sia tutto frutto della mia immaginazione, ma certamente
non scorderò presto la risata del Buffardello.
Racconti
Giacomo Guidetti
Nato in pianura il 26 marzo
1984, da sempre appassionato
di viaggi e di montagna, da
giovane ho iniziato a
girovagare per le vette, sia coi
piedi che con la mente.. e non
ho più smesso!